Nulle part

for voice, flute, clarinet, horn, violin, cello
2007 | duration 4′

Performances
29.10.2007 Novecento e oltre, Sala del Buonumore, Firenze
16.12.2007 Freon Ensemble, Cantos, Ex-Mattatoio, Roma

Program note (ITA/ENG)

Ho iniziato a scrivere questo pezzo a febbraio. Mi hanno chiuso in una stanza, io, una branda troppo corta, un pianoforte a coda, un tavo­lo, uno specchio. Mi sono portato tanta carta, le mie matite preferite, delle palle da giocoliere, una polaroid, un violino, tanta verdura cruda già sbuc­ciata, carote, sedani, poi arance e cioccolata nera, roast beef e pane. Tra i testi della busta ho scelto questo:

pas à pas
nulle part
nul seul
ne sait comment
petits pas
nulle part
obstinèment

È un testo di Samuel Beckett che si trova all’interno di Mirliton­nades, una raccolta di poesie scritte in francese negli anni settanta.
Scrivere un pezzo in cui una voce canta un testo poetico porta  molti pensieri. Provo qui a con­dividerne alcuni.
Scrivere musica è una forma di ascolto. Se è così, ciò che scrivo è il mio ascolto e ancor di più la ricerca di nuovi modi in cui vorrei ascol­tare. Ascoltare qualcosa che non conosco ancora.
Ogni pezzo è il racconto di un desiderio, la traccia di un lavoro per imparare ad ascoltare me­glio. È difficile avvicinarsi a un’opera, trovare accesso a un mondo che è il frutto dell’ascolto di qualcun altro.
L’ascolto ha bisogno del silenzio.
Il silenzio non è un deserto arido, è uno spazio vuoto ma colmo di possibilità. È anzi la condi­zione stessa delle possibilità. Possibilità di nuovi ascolti, di nuovi incontri. Serve il silenzio perché emergano e prendano forma altri suoni, altri pensieri. È l’ascolto a farli emergere. Credo che que­sto sia vero anche per la poesia.
Il silenzio, come la pagina bianca, non è qualcosa di neutrale ma nasconde un mare in cui si mescolano, ancora informi, i desideri e le memorie.
Per poter usare un testo poetico bisogna fingere che sia proprio, risalire un poco le ragioni che hanno fatto sì che potesse starci di fronte come qualcosa di finito. Capire la necessità di un verso è capire perché non può essere altrimenti e insieme vedere le possibilità scartate di cui questo è il frutto. Far proprio un testo vuol dire cercare di risalire al silenzio da cui quelle parole sono emerse.
Se dovessi esprimere con una domanda tutto il giro di pensieri intorno alle parole della poesia questa riguarderebbe la loro provenienza.

Une voix parvient à quelqu’un dans le noir. Imaginer. (1)

Se penso alla voce in Beckett mi viene in mente l’«io» narrante di Molloy, un suo romanzo scrit­to in francese alla fine degli anni ’40. Lì, come nei due romanzi successivi che insieme a Molloy for­mano una tri­logia, la voce che ci parla esiste solo grazie al suo narrare, non può fer­marsi un istan­te; continuare a parlare (obstinement), non importa di cosa, è il suo unico modo di assicurarsi di es­sere viva. Tutto si riduce a questa necessità. La voce che ascoltiamo corre su un abisso insensato, l’azione del parlare è la sola realtà che le resta ed ogni parola è frutto di questo horror vacui. Le poesie raccolte in Mirlitonnades sono molto lon­tane dai romanzi degli anni ’40, ci sono grandi diffe­renze di scrittura e non c’è più la paura del vuoto ma lo sfondo su cui si stagliano le parole, qui molto più scarne e sole, è lo stesso.
Parlare della propria musica è difficile. Ascoltare è difficile. Le pa­role che dico non vogliono es­sere una spiegazione, ma un invito ad av­vicinarsi. L’ascolto ha bisogno di vicinanza più che di spiegazioni. Così cerco di raccontare alcuni pensieri che mi vengono in mente guardando questo pezzo.
Mi chiedo sempre come fare a far entrare un suono: deve sempre provenire da qualche parte (nulle part), sfociare da un altro strumento o dal niente; una volta presente può prendere corpo ed evolversi ma non può andarsene prima di aver generato altri percorsi; allora può spe­gnersi, mai bruscamente. Così, per esempio, l’inizio è tutto un’apertura di campo per l’ingresso della voce.
Se concentro l’attenzione sulle singole parti strumentali trovo dei gesti semplici. Voglio osser­vare questi gesti sonori come fossero eventi naturali nel loro formarsi, seguirne l’evoluzione e la dissoluzione.
La scrittura è una lente d’ingrandimento che insegna ad ascoltare tutti i particolari del momen­to in cui il suono nasce e attraversa il con­fine del silenzio per prendere corpo e presenza, in cui emerge dal buio ma ancora si confonde con i suoni che avrebbe potuto essere.
Anche per questo nel mio pezzo non ci sono molte note, non si trovano lunghe melodie. Il te­sto di Beckett, se si fa eccezione per due parole, è composto solo di monosillabi.
Se osservo l’insieme trovo un altro piano in cui i singoli gesti sono intrecciati, sfociano conti­nuamente l’uno nell’altro formando dei picco­li sentieri che definire melodie è azzardato, ma attra­verso i quali si può intravedere un canto. È ad un livello polifonico che appare un’altra tra­ma. Una trama esile in cui piccoli gesti come l’attacco di un suono o  un intervallo possano essere messi in luce, assaporati.
La voce fa parte di questa trama, ne è al centro, emerge dagli strumenti e poi ne guida il gioco fino ad esserne riassorbita.

Une voix parvient à quelqu’un dans le noir. Imaginer.

(1)
Si tratta delle prime parole di Compagnie, sempre di Beckett: “Una voce giun­ge a qualcuno nel buio. Immaginare”.

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Nulle part (2007)
on a poem by Samuel Beckett from Mirlitonnades

pas à pas
nulle part
nul seul
ne sait comment
petits pas
nulle part
obstinèment

In order to use a poetic text one must pretend it is one’s own.
One must retrace the reasons that made it possible for it to lay in front of us like something complete.
Understanding the necessity of a verse means understanding why it could not be otherwise while also looking at the discarded possibilities and returning to the silence from which those words emerged.

Silence is not an arid desert,
it is an empty space brimming with possibilities.
Possibilities for new listenings, for new encounters.
Listening necessitates silence.

To me writing music is a way of listening,
it is a search for new ways in which I would like to listen.
It is to listen to something still unfamiliar.
Each piece is the narration of a desire,
a trace for learning a better way of listening.

I always ask myself how to let a sound in: it always has to come from somewhere (nulle part), flow out from an instrument or dal niente; once present it can shape itself and evolve but it cannot leave before having generated new paths; only at that moment can it extinguish itself, although not abruptly.
In my piece there are many notes and no long melodies.
Beckett’s poem in made up only of monosyllables (except for two words).

[December 2008]