Une petite fleur bleue

transcription of a Fiore Musicale by Frescobaldi
for string quartet
2005 | duration 3′

Performances
12.3.2006 Freon Ensemble, Freon Festival, Ex-Mattatoio, Roma
20.5.2007 miXXer, Chiesa di S. Francesca Romana, Ferrara
27.4.2008 Sala del Buonumore, Conservatorio di Firenze
07.10.2010 Haitinkzaal, Conservatorium van Amsterdam
07.06.2012 Composers’ Festival, Conservatorium van Amsterdam
24.10.2013 Zenne Quartet, TW Classic Forst, Vorst (BE)
10.11.2013 Quartetto Amarone, Brandenburger Theatre, Brandenburg
11.12.2015 Quartetto Maurice, La Stanza della Musica, Rai Radio3
12.12.2018 Quartetto Maurice, Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires
16.06.2021 Zenne Quartet, LDC Miro, Vorst (BE)
18.06.2021 Zenne Quartet, Huize St-Monika, Bruxelles
19.06.2021 Zenne Quartet, GBS De Puzzel, Vorst (BE)
18.03.2022 Zenne Quartet, TW Classic Forst, Vorst (BE)
20.03.2022 Zenne Quartet, Stedelijk Conservatorium, Hasselt (BE)
17.07.2022 Zenne Quartet, Walden Fesival, Brussels (BE)
20.11.2024 New European Ensemble, Leiden University (NL)

Audio
Recorded live in Ferrara 20.5.2007  Marco Lorenzini, Caterina Bono vln, Achille Galassi vla, Sebastiano Severi cello

Program note (ITA)

miXXer
Chiesa di S Francesca Romana, Ferrara
20/05/2007

Raccolgo alcuni pensieri nati attorno al desiderio di trascrivere uno dei  Fiori musicali di Fresco­baldi. Scrivere musica è una forma di ascolto. Se è così, ciò che scrivo è il mio ascolto e ancora di più il modo in cui vorrei ascoltare. Ogni pezzo è il racconto di un desiderio, la trac­cia di un lavoro per imparare ad ascoltare meglio.
Quando studio un pezzo cerco un modo di ascoltare che non sapevo immaginare e di cui vorrei essere capace. È difficile avvicinarsi a un’opera, trovare accesso a un mondo che è il frutto dell’ascolto di qualcun altro. Trascrivere può essere un varco, è un lavoro che obbliga a ripensare ogni nota come propria, a ripercorrere il sentiero della scrittura con i propri passi.
La trascrizione ha una storia molto lunga che qui non mi interessa ripercorrere se non per escludere dall’attenzione tutti gli aspetti funzionali che le appartengono o le appartenevano: quello di trasmettere delle opere, di permetterne la diffusione, di permetterne lo studio prima di un’ese­cuzione.
L’aspetto del trascrivere che più mi interessa è quello che porta alla luce il rapporto tra il tra­scrittore e l’opera originale. In questo percorso il primo incontro importante è stato quello con il Ricercare a sei di Bach trascritto da Webern per orchestra.  In quest’opera è evidente lo spazio di tensione tra due lingue e possiamo ascoltare Webern che ascolta Bach. C’è un grande rispetto per l’originale e proprio questo rapporto profondo permette un esito così libero. Sentiamo Bach ma attraverso le orecchie di Webern, il cui intervento ha una trasparenza che non vela l’originale ma lo illumina di una luce inedita.
Così la trascrizione mi si è presentata come un fertile terreno di incontro in cui cercare un’esperienza di apprendistato e anche un modo per pensare il  rapporto con la tradizione, per guardare un’opera con quel rispetto che le chiede di esserne cambiati.
Lo studio dei Fiori Musicali mi ha avvicinato alla polifonia di Frescobaldi, da un lato rigorosa e astratta, dall’altro piena di suono e di canto. Proprio questo carattere rende la scrittura dei Fiori tanto solida da resistere alla esplorazione delle trascrizioni senza andare in pezzi, così forte da per­mettermi quella libertà che hanno i bambini quando giocano con gli alberi.

La scelta del quartetto d’archi ha almeno un paio di motivi convincenti: la  uniformità timbrica mi rendeva più difficile cadere nell’imitazione del modello rappresentato da Webern, obbligando­mi a cercare una via personale; in secondo luogo mi offriva la possibilità di affrontare per la prima volta un organico tanto autorevole sotto l’ala protettrice di Frescobaldi.
Qualche nota tecnica sulla mia trascrizione: le altezze assolute sono tutte rispettate, non ci sono note in più e solo nell’ultima battuta sono presenti alcuni raddoppi di ottava. Anche l’attacco è rispettato, cioè ogni nota ha il proprio attacco nello stesso punto dell’originale, una volta entrata però dura quanto voglio io. Le quattro voci dell’originale attraversano il quartetto d’archi con li­bertà, risultando così frammentate. Nell’originale c’è un bordone di re al contralto che dura per tutto il pezzo e oltre ad esercitare un forte fascino su di me costituisce un ottimo punto di incon­tro per gli strumenti nel loro scambiarsi frammenti di canto.

Penso la mia trascrizione come un vetro opaco attraverso cui guardare questo fiore. Lo spessore del vetro è il mio ascolto di oggi, la distanza che allo stesso tempo separa dall’oggetto e gli per­mette di essere guardato.
Così mentre si osserva il fiore si può anche spostare il proprio sguardo sul vetro, cercando di vedere cosa gli impedisca di essere trasparente, in cosa consista la sua opacità. Questa, oltre che dalla frammentazione delle voci, è data dal trattamento timbrico del quartetto, in cui grande parte  hanno le corde a vuoto e gli armonici naturali, così da trovare un suono nuovo che emerga però da gesti arcaici, legati alla materialità degli strumenti, alle quinte vuote delle corde in cui sentiamo nascosti secoli di vocalità.

Infine due parole sul titolo che oltre a riferirsi ai fiori di Frescobaldi è un’immagine presente all’inizio e alla fine de I fiori blu di Queneau: Il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un attimo la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Uno strato di fango ricopriva anco­ra la terra, ma qua è là piccoli fiori blu stavano già sbocciando.

Forse si tratta degli stessi lilacs che sbocciano dalla neve ormai sciolta in fango, fiori in cui si in­trecciano memoria e desiderio dell’inizio de La terra desolata di Eliot:

Aprile è il mese più crudele. Genera
lillà dalla terra morta, mischia
memoria e desiderio, desta
radici sopite con pioggia di primavera.
L’inverno ci tenne al caldo, coprendo
la terra di neve immemore […]

Program note (GER)
Translated from Italian by Geraldo Brandigi

Ich entwickle hier ein paar Gedankenfäden, die ich aus meinem Wunsch heraus, eines der fiori musicali von Frescobaldi zu transkribieren, zu spinnen begonnen habe.

Musik zu schreiben ist eine Form des Zuhörens. Wenn diese Prämisse gilt, so ist, was ich schreibe, mein Zuhören oder vielmehr noch die Art, auf welche ich zuzuhören wünsche. Jedes Stück ist die Erzählung von diesem Wunsch, die Charakterlinie einer Anstrengung, Musik besser hören zu lernen.

Wenn ich ein Werk studiere, so suche ich als Hörer einen Zugang, den ich mir bis anhin noch nicht vorstellen konnte und dessen ich fähig sein will. Es ist schwierig, sich einem Stück zu nähern, Zugang zu einer Welt zu finden, die Frucht des Hörprozesses eines anderen Menschen ist. Das Transkribieren mag ein Schlüssel dazu sein: es ist eine Arbeit, die mich verpflichtet, eine jede Note neu zu erdenken, als ob sie meine eigene sei, den Weg des fremden Musikschreibens im eigenen Schrittmaß zu beschreiten.

Die Transkription hat eine äußerst lange Geschichte, die ich hier nicht ausführen möchte. Aber ich lege an dieser Stelle Wert darauf, die funktionalen Aspekte, die ihr immer schon eigen waren, auszuschließen: die Überlieferung und Verbreitung von Musikstücken oder das Studium des Werkes vor seiner eigentlichen Aufführung.

Der Aspekt der Transkription, der mich am meisten interessiert, ist das Verhältnis zwischen dem bearbeitenden Komponisten und dem originalen Werk. Auf diesem Weg war meine erste wichtige Erfahrung diejenige mit dem ricercare zu sechs Stimmen von Bach in der Orchesterfassung von Anton von Webern. Auf Anhieb wird man des Spannungsgehaltes zwischen den beiden musikalischen Sprachen gewahr und man kann eindeutig Webern beim Anhören von Bach beobachten. Er hegt großen Respekt vor dem Original und genau diese innige Verbindung erlaubt ihm, so freie Lösungen zu finden. Wir hören Bach mit Weberns Ohren und seine Bearbeitung ist von einer Durchsichtigkeit, die das Original nicht verhüllt sondern mit einem noch nie dagewesenen Licht erleuchtet.

So ist mir denn die Transkription als fruchtbarer Boden begegnet, auf welchem die Absicht, bei jemandem in die Schule zu gehen, mich auch über die eigene Verbindung zur Tradition nachdenken lässt und dazu, einem Werk den ihm geschuldeten Respekt zu zollen. Das Studium der fiori musicali hat mir die Polyphonie von Frescobaldi nahegebracht, die einerseits streng und abstrakt ist, andererseits aber klangvoll und gesanglich. Genau dieser Vorzug macht sie gegenüber jeglicher Erforschung durch Transkription so resistent. Sie nimmt daran keinen Schaden. Sie erlaubte mir sämtliche Freiheiten, die Kinder haben, wenn sie im Grünen spielen.

Für die Wahl des Streichquartetts gab es einige gute Gründe: die klangliche Einheit würde es mir schwer gemacht haben, das Webern’sche Modell bloß nachzuahmen. Sie würde mir eine persönliche Lösung abverlangen. Und zweitens gab mir das die Möglichkeit, ein so ambitiöses Vorhaben, wie es das Komponieren für das traditionsbefrachtete Streichquartett ist, unter dem Schutzmantel Frescobaldis anzugehen.

Einige technische Hinweise zu meiner Transkription: ich habe sämtliche absoluten Tonhöhen respektiert, keine Noten zugefügt, und einzig im letzten Takt gibt es einige Oktavverdopplungen. Auch der Anschlag ist beibehalten: das heißt, jede Note wird exakt dort angeschlagen (oder eher angestrichen), wo sie im Original auftaucht, allerdings dauert sie hinterher so lange, wie es mir beliebt. Die vier Stimmen des Originals wechseln völlig frei quer durch das ganze Quartett, sodass ein fragmentierter Stimmverlauf resultiert. Im Original gibt es in der Contraltus-Stimme einen d-Bordun, der mir die willkommene Bezugsstimme zum Austausch der Melodiefragmente untereinander abgegeben hat.

Ich stelle mir meine Transkription als trübes Glas vor, durch welches ich die Blume betrachte. Die Dicke des Glases symbolisiert mein heutiges Hören, die Distanz, die mich gleichzeitig vom Objekt trennt, mir aber auch erlaubt, es zu betrachten.

So kann man denn auch in der Betrachtung der Blume den eigenen Fokus auf das Glas richten, versuchen den Grund herauszufinden, weshalb es nicht ungetrübt sei, und worin die Trübung bestehe. Die Fragmentierung der Melodiestimme sorgt für Opazität aber darüber hinaus das Timbre des Quartetts mit vielen leere Saiten und natürlichen Flageoletts, auf dass ein neuer Klang entstehe, der allerdings eine archaische Gestik in sich trägt. Dieser Klang betont die Materialität der Instrumente mit leeren Quinten, in denen sich Jahrhunderte der Gesangeskunst widerspiegeln.

Zuletzt zwei Worte zum Titel: natürlich bezieht er sich auf die fiori von Frescobaldi aber auch auf das Ende des Romans „Les fleurs bleues“ von Raymond Queneau (1965), als der Duc d’Auge vom Turm seines Schlosses aus einen Moment lang die Situation in Augenschein nimmt; sie als reichlich unklar beurteilt; Fetzen aus der Vergangenheit wirbeln hier und da durcheinander. Eine Schlammschicht bedeckte die Erde noch aber mitunter sprießen schon kleine blaue Blümchen hervor.

Vielleicht handelt es sich bei ihnen um die Fliederblüten, die aus dem Schnee erblühen; Blüten, in welchen sich Erinnerung und Hoffnung des Anfanges von „The waste Land“ von T.S. Eliot wiederfinden.

April is the cruelest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow